Marco Livio Druso il giovane nacque presumibilmente nel 124 a.C..

Suo padre fu il Console Marco Livio Druso detto il Censore, appartenente alla nobile famiglia dei Livii, ricordato per essere stato l’autore delle “Leges Liviae”  e da Console per aver sconfitto gli Scordisci nel 111 A.C.

Gens Livia, ai Livii appartenne anche Livia Drusilla, moglie di Augusto – foto di Zaqarbal

Alla famiglia dei Livii appartenne anche Caio Livio Salinatore, prestigioso console romano, vincitore della battaglia del Metauro, in cui sconfisse nel 207 a.C. i Cartaginesi guidati da Asdrubale.

Da parte di madre Marco Livio Druso il tribuno discendeva dalla Gens Cornelia e forse direttamente da Scipione l’Africano.

Le prime apparizioni in pubblico di Marco risalgono al 108 a.C., anno in cui morì suo padre Marco Livio Druso il Censore. Fu in quell’anno che il giovane Marco si presentò nei tribunali ancora vestito della toga Praetexta* per difendere alcuni amici.

In quell’occasione il suo successo nella difesa destò scalpore, tanto che Marco bruciò le tappe del Corso degli Onori e fu presto pontefice, poi tribuno militare, quindi decemviro e infine edile.

Nel 91 a. C.  fu eletto tribuno della plebe e in questa veste presentò 3 leggi che poi si riveleranno decisive per la sua sorte e che lasceranno un segno profondo nella storia della Roma repubblicana.

La prima legge riguardava la giustizia

Marco Livio Druso, per sanare la frattura che si era venuta a creare fra senatori e cavalieri, propose di far passare le commissioni giudiziarie attraverso l’approvazione del senato, ma che il senato stesso sarebbe stato allargato a 300 nuovi membri, da scegliersi tra i migliori equites.

Alcuni autori sostengono che la proposta di Druso fu dettata dalla volontà di punire gli equites per l’ingiusta condanna di Publio Rutilio Rufo nel 92 a.C..
Più probabilmente l’intento di Druso fu quello di restituire il potere giudiziario al senato e di portare dalla sua parte l’intera classe degli equites, allettati dalla possibilità  di diventare parte integrante del senato.

Nel contempo Druso otteneva il risultato di limitare il potere giudiziario dei cavalieri.

Questa legge fu approvata anche se gran parte dei cavalieri fecero di tutto per opporvisi, interpretandola soprattutto come una perdita di potere.

La legge sui prezzi politici

La seconda legge riguardava la distribuzione a prezzi politici del grano e conteneva anche nuove norme riguardo all’assegnazione di parte dei territori appartenenti all’ager publicus che non erano ancora stati toccati.

Nel concreto con questa seconda legge Marco Livio Druso riproponeva uno degli aspetti delle lex Liciniae Sextiae che di fatto non era mai stato applicato, sebbene promulgato nel 367 a.C..

Secondo questa parte delle lex Liciniae Sextiae, nessun cittadino poteva possedere più di 500 iugeri** di terra.

Giunse ad ottenere il sostegno di molti influenti senatori, tra cui Marco Emilio Scauro, un senatore molto influente che fu amico di suo padre e nel 109 fu censore insieme a Marco Livio Druso padre.

Tiberio e Caio Gracco

La legge sulla cittadinanza romana agli italiaci

La terza legge è quella che ci riguarda più direttamente.

Anche in questo caso si tratta di una legge già proposta in precedenza, infatti già Tiberio Gracco nel 133, poi Caio Gracco nel 125 e poi ancora Apuleio Saturnino nel 99 avevano presentato leggi che miravano ad estendere la cittadinanza romana agli alleati italici (socii).

Marco Livio Druso aveva effettivamente stretto con gli italici un patto segreto attraverso il quale si era impegnato ad adoperarsi per far ottenere agli stessi la tanto agognata cittadinanza romana.

Non è del tutto insensato pensare che il disegno di Druso fosse quello di accrescere il proprio potere proprio attraverso i consensi che certamente avrebbe acquisito presso i numerosi nuovi romani che si sarebbero venuti a creare concedendo agli italici la cittadinanza romana.

È altrettanto probabile che Marco Livio Druso avesse sinceramente preso a cuore la causa degli italici che erano di fatto ingiustamente considerati cittadini di terza classe, subalterni sia ai romani che ai latini.

Gli italici pagavano le tasse a Roma, ma non avevano diritti politici e soprattutto combattevano le guerre per conto di Roma a proprie spese senza averne alcun vantaggio economico.

Alle calende di settembre del 91  Marco Livio Druso, nella Curia Hostilia, in qualità di Tribuno della plebe, durante un’assemblea del senato, chiese il riconoscimento della cittadinanza romana agli italici, ma i senatori lo accusarono di tradimento.

Curia Hostilia

I nemici di Druso

Tale legge era però invisa non solo ai senatori e ai cavalieri, ma anche alla plebe romana che vedeva nella concessione della cittadinanza romana agli italici una potenziale concorrenza nella distribuzione gratuita di frumento e nelle assegnazioni di piccoli terreni conquistati con le guerre.

La presentazione di questa terza proposta di legge aveva generato nel senato romano una tale contrarietà che addirittura si trovò qualche futile pretesto per far decadere anche le sue prime due leggi.

Nonostante ciò Druso, sei giorni alle idi di settembre, tornò alla Curia Hostilia*** per chiedere di nuovo la concessione della cittadinanza romana agli italici da parte del senato romano, anche per scongiurare una disastrosa guerra civile.

Infatti il malcontento da parte degli italici si stava trasformando in odio e Marco Livio Druso aveva capito che questa volta gli italici facevano sul serio.

Quinto Poppedio Silone nel fumetto di James Fantauzzi

Quinto Poppedio Silone

Alle none di ottobre fu Quinto Poppedio Silone a rompere gli indugi, alla guida di due legioni di valorosi e coraggiosi guerrieri marsi, stimati in circa 10.000 uomini, mosse verso Roma attraverso la via Valeria.

A questo punto il senato romano inviò il pontefice massimo Gneo Domizio Enobarbo a trattare con il condottiero marso.

Quinto Popedio Silone dichiarò a Enobarbo che gli italici avrebbero attaccato Roma qualora non fosse immediatamente concessa loro la cittadinanza romana.

Gneo Domizio Enobarbo, rendendosi pienamente conto della concretezza della minaccia di Silone, promise al capo dei marsi che la cittadinanza romana sarebbe stata concessa agli italici senza spargimento di sangue.

Solo dopo aver ottenuta questa promessa Quinto Poppedio Silone abbandonò la minaccia militare e tornò nella sua terra.

Ruderi di Marruvium

Lucio Marcio Filippo

Nel 91 i consoli in carica erano Sesto Giulio Cesare, della gens Giulia e Lucio Marcio Filippo, della gens Marcia, quest’ultimo acerrimo nemico di Marco Livio Druso.

Di fatto Lucio Marcio Filippo rappresentava la parte più conservatrice del senato romano e aizzava anche i plebei contro Druso e le politiche oggettivamente orientate all’emancipazione dei plebei, anticipando quello che oggi viene definito populismo.

Al rientro del pontefice massimo Gneo Domizio Enobarbo venne immediatamente convocata un’assemblea del senato romano, in cui Enobarbo fece il resoconto del suo incontro con Quinto Poppedio Silone.

Il console Lucio Marcio Filippo rivelò all’assemblea di essere venuto a conoscenza del patto tra Marco Livio Druso e gli italici.

Non sappiamo come Lucio Marcio Filippo fosse venuto in possesso del testo del giuramento che gli italici avevano fatto a Marco Livio Druso ma sta di fatto che Lucio lesse il testo in senato e lo presentò come un tradimento di Druso nei confronti di Roma.

Non sappiamo neanche quanti ebbero il coraggio di opporsi al console, ma certamente la sua interpretazione non fu condivisa da tutti.

Di certo con questo colpo di scena le possibilità di successo del disegno di Marco Livio Druso vennero molto ridimensionate.

Sol Indiges, antica divinità italica regolatrice delle stagioni

Il giuramento degli Italici

Questo è il testo del giuramento degli italici che Lucio Marcio Filippo lesse in senato:

Giuro per Giove Capitolino e Vesta di Roma e per il suo progenitore Marte e per il Sole Indiges e per la Terra che nutre le piante e gli animali ed inoltre per i semidei fondatori di Roma e per gli eroi che hanno contribuito ad accrescerne il dominio, di considerare amico e nemico chi sarà amico e nemico di Druso e giuro che non risparmierò né le ricchezze né la vita dei miei figli né dei miei genitori per portare aiuto a Druso e a coloro che prendono parte a questo giuramento. Se diventerò cittadino romano grazie alla legge di Druso considererò Roma la mia patria e Druso il mio massimo benefattore. E farò partecipi di questo giuramento il maggior numero possibile di cittadini. E se giuro sinceramente, ne ottenga dei benefici, se giuro in malafede, il contrario.”

Il giuramento è un atto che tende a favorire Marco Livio Druso, ma non è del tutto esatto definirlo un tradimento di Roma, anzi dal testo del giuramento si possono estrapolare passaggi che al contrario rivelano la totale volontà degli italici a non sovvertire l’ordine romano.

Gli accordi di Druso con Silone vanno interpretati anche in funzione della profonda conoscenza che Druso aveva degli italici e della loro indiscussa forza militare.

Dunque vanno visti come una corretta lettura politica di Druso, volta ad evitare quella che poi si rivelerà come la guerra più sanguinosa che Roma dovette affrontare.

Ruderi di Corfinium foto di Marica Massaro

Druso, che contava sull’appoggio di una congrua parte del senato, non si diede per vinto e nella successiva assemblea del senato stesso presentò formalmente la proposta di legge che avrebbe consentito agli italici di divenire cittadini romani.

La proposta fu bocciata e Marco fu pesantemente attaccato e formalmente accusato di tradimento di Roma, tanto da annullare anche le due leggi precedenti.

Il vile assassinio di Druso

In questo clima, una sera di ottobre del 91, Marco Livio Druso, mentre stava tornando a casa, venne colpito da un’anonimo assassino con una pugnalata.

Secondo alcuni autori l’assassino fu proprio il senatore che lo stava accompagnando a casa.

Dopo giorni di agonia Marco morì a soli 33 anni nella sua casa e sia il suo assassino che i mandanti rimasero per sempre impuniti.

Ben presto la notizia dell’assassinio di Marco Livio Druso arrivò a Quinto Poppedio Silone, che si trovava a Marruvium****.

Silone considerava Druso un amico sincero, oltre che un amico dei popoli italici e fu molto scosso da questa notizia.

Inoltre Quinto Poppedio Silone si sentì gabbato dai romani, che per bocca di Gneo Enobarbo gli avevano formalmente promesso la concessione della cittadinanza romana.

La sua prima reazione fu quella di convocare gli altri capi italici a Corfinium*****, capitale della nazione peligna, che nell’occasione venne ribattezzata Italica e venne proclamata capitale della lega italica, dove i capi italici decisero di dichiarare guerra a Roma.

 

Note

*La toga praetexta era un tipo di toga orlata di porpora. Essa veniva indossata da

tutti i ragazzi romani liberi che non avevano raggiunto ancora l’età adulta (15-17 anni). Veniva indossata nelle occasioni formali e ovviamente era di dimensioni minori rispetto a quella degli adulti.

 

**Lo iugero era un’unità di misura legata alla quantità di terreno che era possibile arare in una giornata di lavoro con una coppia di buoi aggiogati (di qui l’etimologia da “iugum”, cioè “giogo”).

Lo iugero corrispondeva così a circa un quarto di ettaro, più precisamente a 2.519,9.

Oggi in Abruzzo esiste ancora questa unità di misura e viene chiamata “opera”.

*** La Curia Hostilia fu il più antico luogo di riunione del Senato romano, costruito nel Comizio entro l’area del Foro

**** Marruvium fu l’antica capitale dei Marsi, ubicata dove oggi sorge San Benedetto dei Marsi

*****Corfinium antica capitale della nazione peligna, poi capitale della lega italica già nel 91 a.C. batteva moneta, il denario italico, la prima moneta oltre 2.100 anni fa, a recare la scritta Italia. Oggi si chiama Corfinio.

 

Bibliografia:

Giuramento degli Italici a Marco Livio Druso . Diodorus Siculus

Gli interventi degli Italici nella lotta politica romana durante il tribunato di Marco Livio Druso di Alejandro Bancalari Molina

Enciclopedia Italiana Treccani

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