Nipozzano

Nipozzano

Un grande vino è un grande vino e di solito si capisce ben presto, fin dai suoi primi vagiti. Altro è cogliere il massimo, l’espressione più vicina alla perfezione del vino stesso, per questo bisogna aspettare che il vino si affini in bottiglia, ma cerchiamo di capire attraverso quali fenomeni chimico fisici e dopo quanto tempo un vino migliora le sue caratteristiche organolettiche.
Innanzitutto va compreso quali sono i vini che maturano in bottiglia e vanno distinte 2 fasi dell’affinamento stesso: la prima, indispensabile, presso la cantina che ha prodotto il vino, prima che il vino stesso venga messo in commercio; la seconda presso il ristorante, l’enoteca o la cantina privata del consumatore.
Nel momento in cui un vino viene messo in vendita deve essere già “pronto”, anche se poi molto spesso i margini di miglioramento sono ancora molto ampi.
A differenza dell’affinamento in legno, in bottiglia il vino si affina grazie a fenomeni di riduzione (assenza di ossigeno) che permettono un aumento della complessità solo a quei vini che sono in grado di evolversi, in realtà è più corretto parlare di ossidoriduzione, visto che un po’ di ossigeno passa.
Nel corso degli anni, la micro-ossigenazione attraverso la porosità del tappo, i cambiamenti di temperatura, la spoliazione del colore, il consumo dei tannini e dell’acidità, portano alla tipica evoluzione del vino invecchiato.

Romanée Conti 1921

Romanée Conti 1921

La spoliazione del colore ed il consumo dei tannini sono dovuti al fatto che antociani e tannini tendono ad aggregarsi in polimeri di maggiori dimensioni, che nel tempo perdono la loro solubilità e precipitano allo stato solido, formando la cosiddetta “camicia” o comunque un precipitato solido che si deposita sul fondo o sulle pareti della bottiglia stessa.
Si usa nel gergo del vino il termine invecchiato, anche se probabilmente questo aggettivo trasmette sensazioni negative, potremmo dire meglio “maturato”, la maturità è un pregio.
Modalità di conservazione non corrette (forti sbalzi termici, luce diretta, tappo secco) accelerano i processi degenerativi e in quei casi più che di maturazione parliamo di degrado, dunque vanno assolutamente evitati.
Ogni vino dopo l’imbottigliamento attraversa le seguenti fasi di evoluzione:
1. Periodo di affinamento in cui si raggiunge il momento di miglior equilibrio;
2. Momento ideale di consumo;
3. Graduale evoluzione ossidativa, con progressivo decadimento delle qualità organolettiche.
Naturalmente la durata delle fasi è diversa da vino a vino e da annata ad annata e caratteristiche importanti possono comparire anche dopo anni; i vini veramente longevi sono capaci a volte di prolungare queste fasi anche fino a molti decenni!
Un grande vino raggiunge abbastanza rapidamente la fase 2 e la mantiene a lungo.
Visivamente un vino rosso vira progressivamente da rosso-bluastro a tonalità via via più calde, fino a tonalità rosso-granata.

La limpidezza molto lentamente si attenua, a causa del consumo dell’acidità, che ha una funzione “brillantante”.

Patrizia con un Tarlant del 98

Patrizia con un Tarlant del 98

Olfattivamente le molte e complesse reazioni chimiche di (ossidoriduzione, idrolisi, esterificazioni, …) rimaneggiano completamente il quadro aromatico e lo arricchiscono di nuovi e complessi profumi, facendo progressivamente diminuire le note fresche e fruttata a favore di quelle più speziate.
Dal punto di vista gustativo il consumo dell’acidità e dei tannini da parte dell’ossigeno rende il vino meno spigoloso e più morbido.
Ventaglio di aromi in vini rossi invecchiati:
• Attenuazione degli aromi floreali più semplici
• Passaggio dalla frutta alle confetture
• Evidenziazione della gamma degli aromi speziati
• Torrefatto
• Minerale
• Tabacco
• Cuoio
• Catrame (goudron)
• Humus
• Sottobosco
• Pelliccia, Selvatico
• Cavallo (potrebbe essere causato dalla brettanomyces)

Quali vini invecchiano meglio?
Molto corposi (grossa consistenza in bocca);
Ricchi di alcol e soprattutto di acidità;
Ricchi di tannini (sono antiossidanti che fanno da parafulmine del vino nell’invecchiamento);
Tutte queste caratteristiche sono il frutto di scelte mirate in vigna e in cantina o di territori particolarmente vocati.
E’ evidente che un vino che non abbia queste caratteristiche invecchiando potrebbe solo peggiorare anziché migliorare.
Tra le denominazioni che più si prestano all’invecchiamento certamente il Brunello di Montalcino, per la natura dei suoli.
In Italia anche il Barolo contende al Brunello di Montalcino la palma di vino più longevo.

Barolo Bartolo Mascarello del 98

Barolo Bartolo Mascarello del 98

Non sto qui a fare un elenco dei vini rossi longevi, che forse merita un capitolo a parte.
Molti pensano che siano solo i rossi a sopportare bene l’invecchiamento, ma non è così!
Un vino bianco ottenuto da uve sane, ricche di acidità e di buona struttura sopporta molto bene l’invecchiamento.
In Italia ricordo decenni il Trebbiano d’Abruzzo di Valentini considerato quale vino da lunghi invecchiamenti, ma anche il Fiano di Avellino di Mastroberardino già negli anni 70 veniva messo in commercio ben maturo e sopportava tranquillamente lunghi invecchiamenti. Villa Bucci e Garofoli riserva per il Verdicchio dei Castelli di Jesi la sanno lunga quanto a capacità di affinarsi in bottiglia. Poi le riserve della Cantina Sociale di Terlano sono praticamente immortali, io già25 o 30 anni anni fa ne degustai varie annate come il 1957 insieme a Sebastian Stocker ed ora stanno diventando un classico tra i bianchi longevi.

Pmmard 1971

Pommard 1971

Ovviamente la Borgogna è un capitolo a parte, il Montrachet in tutte le sue declinazioni cioè oltre a Montrachet anche Bâtard-Montrachet, Chevalier -Montrachet, Bienvenues-Bâtard-Montrachet; Criots-Bâtard-Montrachet è certamente uno dei vini più longevi al mondo.
Non posso elencare qui tutti i vini bianchi longevi, ma tra questi un posto speciale compete anche ai Riesling della Mosella.
In un’ altra occasione approfondiremo anche le capacità di invecchiamento degli spumanti e dei vini da dessert o da meditazione.

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  1. Eccoci. Avrei due osservazioni da fare. Una sulla capacità evolutiva dei vini e una sull’apice organolettico. Partiamo dalle caratteristiche che i vini dovrebbero avere per resistere a lungo. Siamo sicuri che i vini molto corposi siano quelli che invecchiano meglio? A bocce ferme uno direbbe di si: c’è più materia da ossidare e quindi ci vuole più tempo per ossidarla tutta. Com’è che allora c’è pieno di vecchie bottiglie di vini rossi a 12% alcol e con estratti intorno ai 25 gr/lt che stanno ancora benone. Pensiamo ai grandi rossi di Borgogna e di Bordeaux (certo non saranno vini eterni, ma io ne ho assaggiati indietro fino al 1937 e raramente ho trovato roba decrepita). Com’è invece che molti vini rossi Italiani di 10-15 anni con alcol a 14-15% con estratti da 30 a 40 gr/lt sono già sul viale del tramonto ? Ovviamente come diceva Paolo Conte ” e’ tutto un complesso di cose ” e quindi il corpo (estratti ed alcol) da solo non può bastare. Riguardo all’apice organolettico, sempre più sto maturando l’idea che in realtà non esiste un apice. O meglio esistono degli apici che però sono legati all’estetica di ogni degustatore. Io penso che se un vino è grande ha tanto da dare in ogni fase della sua vita. Ad esempio io adoro la versione giovanile dei Barolo, scontrosi ma tonici, reattivi, succosi. Fra l’altro molto più franchi nel dichiarare la loro provenienza. Certo è bellissima anche la piena maturità con questi toni decadenti, il tatto setoso, la vena alcolica a scaldare il palato, ma ho come l’impressione che con l’invecchiamento tendano un pò a perdere la loro personalità. Qualche volta assieme a degustatori tosti, ben più bravi di me, abbiamo confuso Brunello di 30 anni con Barolo di pari età. Insomma per divertirsi con il vino, perché noi ci vogliamo divertire prima di tutto, consiglio di approcciarsi alla bottiglia con mente aperta, lasciando a casa il regolo, i paradigmi, le classifiche, e cercando di cogliere quello che il vino può dare in quella particolare fase della sua vita. Poi, diamine, è ovvio che ci deve essere un minimo sindacale…

    • Fabio sono d’accordo con te, forse sono stato troppo accademico e ho buttato lì i parametri principali lavorandoci sopra in maniera non troppo incisiva. L’alcol sembra essere un buon conservante, forse nelle componenti del “corpo” non ci sono tutti conservanti e questo spiega la scarsa propensione all’invecchiamento di alcuni vini ipertrofici. Credo che spesso i suddetti vini ipertrofici possano avere un’acidità non particolarmente elevata e l’acidità resta il principale antiossidante. Riguardo agli apici, anche qui siamo d’accordo, io penso che l’andamento qualitativo di un vino, ammesso che ciò si possa misurare essendo un parametro per molti versi soggettivo, segua una sinusoide che a sua volta pia la risultante di una serie di altre sinusoidi. Di conseguenza lo “stato” di grazie viene raggiunto in più apici, magari uno dei quali più alto. Inoltre spesso ogni bottiglia ha la sua storia e qui rischiamo di smarrirci.

  2. è vero, deve essere una sovrapposizione di sinusoidi.

  3. Lontano dalla competenza che leggo e che ben conosco di Sergio, mi chiedo se il tappo, in estrema sintesi, ha o meno un ruolo nell’invecchiamento del vino oppure se è solo chiamato a garantire una perfetta sigillatura della bottiglia. Il sughero è testato da secoli e ne conosciamo pregi e difetti ma mi chiedo: se avessimo un’alternativa più sicura in questo senso, per il prodotto non cambierebbe quindi nulla?

    • Sergio Di Loreto

      Francesco grazie per la domanda molto interessante e pertinente.
      A mio avviso, a oggi, il sughero resta lo strumento più idoneo per chiedere una bottiglia destinata a contenere vini di qualità. Tutto cambia e oggi non siamo in grado di prevedere cosa la scienza potrà inventare in futuro, ma credo che un ottimo tappo di sughero sia perfetto, fatti salvi i problemi relativi a malattie come l’infestazione da armillaria mellea. Oggi esistono tappi alternativi tra i quali anche il vetro, che sembrano perfetti, ma non coincidono al tappo di sughero. Il tappo di sughero lascia passare qualche molecola di ossigeno, mentre il vetro è perfettamente “stagno”. Quindi con tappi alternativi si avrebbero comunque risultati diversi. Ciò non toglie che prima o poi qualcuno inventi qualcosa di nuovo e rivoluzionario.

  4. Inoltre lo scambio di ossigeno è possibile che avvienga anche attraverso il vetro? Ho sentito parlare di questo in qualche occasione e mi piacerebbe capire se si tratta di pura leggenda.

    • Sergio Di Loreto

      Non mi risulta possibile che avvengano scambi di ossigeno attraverso il vetro.
      Attraverso il vetro, se chiaro, al massimo possono passare fotoni, che comunque in qualche maniera possono interagire con il vino, se non si conservasse al buio. Se qualcuno ha asserito che possano esistere scambi di ossigeno attraverso il vetro, secondo me si è sbagliato, o forse intendeva che dentro una bottiglia di vetro tappata con sughero possono intervenire scambi gassosi, ma certamente attraverso il tappo, mai attraverso il vetro.

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