Da decenni si parla di Supertuscan , si tratta di vini toscani pregiati, ma ci sono molti equivoci, i confini sono aleatori e soprattutto non a tutti è chiara la loro storia.

Alla fine degli anni 60, in Toscana, probabilmente solo il Brunello di Montalcino era considerato un vino veramente di alto prestigio e in grado di imporsi sul mercato con un’immagine davvero autorevole.
Il resto della Toscana vinicola produceva buoni vini, molto conosciuti, ma se si parlava di vini top c’era poco.
Infatti in particolare il Chianti e il Chianti classico, sebbene conosciutissimi in tutto il mondo, avevano una qualità percepita non molto alta e una varietà di prezzi tale da disorientare il consumatore.
Spesso si trovavano bottiglie di Chianti o di Chianti classico a prezzi piuttosto bassi a volte prossimi, se non inferiori, al costo di produzione delle uve.
Chi produceva vini eccellenti nella doc Chianti o Chianti classico (all’epoca non esistevano ancora le docg) si trovava a competere con vini sotto l’identica doc ma a prezzi e soprattutto a qualità molto inferiori.
Questo fenomeno ha danneggiato in maniera piuttosto sensibile l’immagine del Chianti e del Chianti classico, inibendo quasi la possibilità di produrre grandi vini o comunque di dare un posizionamento di prezzo e soprattutto una giusta marginalità a chi aveva voglia di produrre vini di alta qualità.

tra le barriques di Sassicaia

tra le barriques di Sassicaia

Alcuni produttori illuminati iniziarono a pensare alla maniera di uscire da questa situazione, di fatto contemporaneamente due diverse scuole di pensiero e di azione presero il coraggio ed iniziarono a lavorare su due diversi progetti paralleli, ma convergenti su un obiettivo comune: realizzare in Toscana grandi vini senza restare nella mischia dove distinguersi per qualità era difficile.
Alcuni pensarono che per ottenere nella zona del Chianti vini di qualità e longevità notevoli bisognava uscire dalla logica di un disciplinare che si rifaceva alla storica ricetta di Bettino Ricasoli.
Bettino Ricasoli (1809-1880): stabilì che dovesse essere il Sangiovese il principale vitigno presente nel Chianti Classico, assieme ad una percentuale di Canaiolo e alla Malvasia bianca. Tale uvaggio è rimasto quasi invariato fino al 1996.
L’idea fu quella di eliminare la Malvasia e il Trebbiano che nel frattempo si era aggiunto al disciplinare e produrre un grande vino rosso da sole uve Sangiovese per i puristi o con l’aggiunta di altri vitigni alloctoni (in particolare il Cabernet Sauvignon) da parte degli innovatori.
Oggi si prende in considerazione il 1968 quale anno di nascita dei primi vini che poi verranno definiti Supertuscan, proprio perché, pur al difuori da qualsiasi doc, ma con la sola umile definizione di vini da tavola, ben presto si imposero come grandi vini e vennero riconosciuti dal mercato come vere perle dell’enologia toscana.
Nel 1968, per una curiosa coincidenza cronologica, nacquero i 2 “capostipite” di 2 diversi “filoni” di Supetuscan, quello del Chianti o e quello delle zone emergenti.
Nel Chianti Classico fu il Vigorello e a Bolgheri fu il Sassicaia.
Il secondo fu quello che poi di fatto divenne il primo per successo e fama e nacque a Bolgheri grazie alle intuizioni del grande agronomo Mario Incisa della Rocchetta e del grande enologo Giacomo Tachis e che probabilmente fu il principale grande artefice del rinascimento enologico toscano.
Mario Incisa della Rocchetta teorizzò e poi mise in pratica con l’aiuto enologico di Giacomo Tachis, il successo di vini prodotti a partire dal Cabernet Sauvignon a cui ben presto si aggiunsero il Cabernet Franc e il Merlot in zone con una tradizione vinicola minore come Bolgheri.
Oggi, ormai dal 1994, non viene più annoverato nella categoria Supertuscan, in quanto appunto dal 1994 è stata riconosciuta la doc Bolgheri Sassicaia.

Vigneto nel bolgherese

Vigneto nel bolgherese

Grazie a questo vino di fatto Bolgheri negli anni si è trasformata in una delle Doc più prestigiose al mondo e dove hanno trovato la massima espressione in Italia e certamente tra le massime al mondo, i vini prodotti da uve Cabernet Sauvignon, Merlot e Cabernet Franc.
Oltre al Sassicaia i grandissimi di Bolgheri che si sono poi affermati sono l’Ornellaia nato nel 1985, il Masseto nato da uve Merlot in purezza nel 1986 e il Grattamacco nato nel 1982.
L’altro capostipite dei Supertuscan fu il Vigorello, nato da sole uve Sangiovese (a cui poi si aggiunse del Canernet Sauvignon), dunque senza l’aggiunta di altri vitigni a bacca bianca come previsto dal disciplinare del Chianti all’epoca.
Nella lunga lista dei grandi Super tuscan della zona del Chianti vanno certamente citati il Tignanello e il Pergole Torte (forse l’unico, almeno tra quelli di maggior successo, rimasto fedele per sempre al Sangiovese in purezza), entrambi esorditi con l’annata 1971, il Flaccianello della Pieve nato con la vendemmia 1981.
Tra questi vini il Tignanello fu considerato un vino rivoluzionario perché fu il primo Supertuscan ad utilizzare insieme al Sangiovese che restava comunque il primo attore, anche il Cabernet Sauvignon, sebbene relegato al ruolo di “complementare”. Ancora più rivoluzionario fu il concetto che c’era dietro: fare vini da invecchiamento nobili quanto i bordolesi, ma con il Sangiovese come propulsore.

Le pergole torte

Le pergole torte

L’alba di una nuova era per i vini Toscani era sorta e il proliferare dei vini Supertuscan non si fermò più. Quelli nati per ovviare ad un disciplinare rigido che non permetteva di produrre Chianti con Sangiovese in purezza o quelli che seguirono le orme del Sassicaia.
Alla data odierna nel liv ex 100, l’indice londinese che monitorizza l’andamento dei prezzi dei 100 vini più prestigiosi al mondo, vede 2 soli vini italiani: Ornellaia e Sassicaia. Si tratta di un “ranking” aggiornato mensilmente, ma tra gli altri italiani presenti spesso abbiamo trovato Masseto, sempre bolgherese e una volta anche il Barbaresco Gaja, il Barolo di Luciano Sandrone, ma anche il Redigaffi, merlot in purezza e di fatto altro supertuscan, dunque non ci sono dubbi che i Supertuscan si siano imposti al vertice dell’immagine del vino italiano nel mondo.
La regione Toscana divenne un laboratorio alchemico per ogni possibile blend, il territorio venne completamente rivalutato e sottoposto ad una accurata analisi, il che comportò una presa di coscienza del potenziale delle terre di Bolgheri ma anche un oggettiva rivalutazione delle potenzialità del Chianti stesso.
Anche se non sono autoctoni, i bordolesi in Toscana lo sono diventati. Su questo si è scritto e discusso a lungo, interessante fu la creazione del consorzio dei vini del Predicato, un consorzio volontario atto a valorizzare appunto i Supertuscan, sia per la produzione di vini a base di Sangiovese attraverso la denominazione “Predicato di Cardisco” che per i vini prodotti a base di Cabernet attraverso la denominazione “Predicato di Biturica”.

Predicato di Biturica

Predicato di Biturica

I nomi derivano da antichi nomi dei vitigni: Cardisco era il Sangiovese, che spesso veniva classificato come cardisco, dove per Cardisco si intendeva una varietà a maturazione tardiva. Il Biturica era il Cabernet, coltivato dai Biturici, vedi anche link.
Nel 1983 videro la luce i primi “Predicato di Biturica” e tra questi negli anni si impose Mormoreto, grande cru toscano, che si deve al genio di Vittorio degli Albizzi, avo dei Frescobaldi. Vittorio aveva un sogno: fare della Toscana una terra di nobili vini e da giovanissimo, nel 1855, ebbe l’intuizione di portare in Italia varietà allora sconosciute: il Cabernet Sauvignon, il Merlot e il Cabernet Franc e solo dopo oltre un secolo Mormoreto vide la luce, eccezione tra le eccezioni; un vino realizzato interamente con i vitigni che hanno decretato il successo dei vini di Bolgheri, ma coltivati a Nipozzano da oltre un secolo, proprio nel cuore del Chianti, dove hanno visto la luce i Supertuscan prodotti da uve Sangiovese.
Il carattere del territorio toscano è talmente preponderante che riesce a imporsi anche nei confronti di vitigni tanto abituati a svolgere il ruolo di protagonisti come il Cabernet Sauvignon, il Cabernet Franc ed il Merlot.
Molti sono saltati sul carro del vincitore e molti sono stati e sono tuttora i detrattori di questa categoria di vini non molto nitida, ma i risultati si possono commentare, non negare l’evidenza.
Banalizzarne il valore è un atteggiamento da enosnob, altro discorso è avere gusti diversi e voler esaltare i vitigni autoctoni.
Non dimentichiamo però che i Supertusca hanno restituito dignità al sangiovese, quando era considerato solo a Montalcino e a Montalcino molti parlavano di Sangiovese grosso per “differenziarsi” dal sangiovese di altre zone, quando poi gli studi ampelografici hanno ampiamente dimostrato che il sangiovese grosso non esiste, è pura fantasia.
Esistono molti cloni di Sangiovese (vedi mio articolo su Sangiovese), ma la biodiversità anche all’interno dello stesso vitigno è un patrimonio da difendere.
Così sono nati i Supertuscan: dei gioielli enologici che sono andati ad affiancarsi ad altri grandi vini della tradizione ed hanno contribuito in maniera determinante al Rinascimento della Toscana del vino.

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