Più di 30 anni fa mi è scattata la passione per la Borgogna, quando in Italia ancora non andava di moda e quando ne parlavo molti non recepivano, ma io tiravo dritto. Ben presto attaccai la passione a uno dei miei più grandi amici: Gianni Masciarelli. Così eravamo in due e spesso ce ne andavamo ad assaggiare un po’ dei nostri amati Pinot noir e Chardonnay prodotti nella terra promessa. Mi ricordo sempre con piacere delle gran risate che ci facevamo quando qualcuno ci faceva assaggiare altri Pinot noir e poi si offendeva se dicevamo che c’era ancora molto da lavorare. Infatti non temo di essere tacciato di esterofilìa se dico che anche dopo una trentina di anni sul Pinot nero tra Borgogna e resto del mondo c’è ancora un abisso.
La viticoltura della Borgogna ha oltre 2000 anni di storia; infatti la coltivazione della vite fu introdotta dai Romani.
Dalla metà del I secolo il vino rimpiazzò la birra fin qui usata dalle popolazioni celtiche che abitavano la zona.
I monaci vignaioli provenienti dalle abbazie di Citeaux, Cluny, Bèze e molte altre inventarono tra il 600 ed il 1100 i “grands crus” Clos de Bèze, Clos de Vougeot, Clos de Tart ecc. ed impiantarono vigneti nelle zone più adatte alla coltivazione della vigna.
Introdussero il concetto di “cru” utilizzato per definire i migliori appezzamenti e ne tracciarono i confini con dei muri, perimetri che sono rimasti gli stessi fino ad oggi.
In questo periodo si affermò l’identità del territorio, i vari vigneti furono classificati in modo naturale in funzione della qualità dei terreni e gran parte delle denominazioni sono rimaste invariate fino ai giorni nostri.
Già da allora appariva chiaro che una fascia intermedia, solo nei luoghi più vocati, era quella che dava le uve migliori, più in basso meno interessanti e più in alto altrettanto. Certamente quell’incredibile e irripetibile mix di parametri come: impasto dei suoli, altitudine, luce e tutti i parametri peculiari, risente anche di variazioni piccolissime per fare grandissime differenze.
Con la rivoluzione Francese le terre della nobiltà e della chiesa furono confiscate, divise in piccoli lotti e distribuite tra i contadini.
Per questa ragione qui non si trovano grandi Châteaux come nel bordolese, ma vigneti (climats) suddivisi in piccole parcelle di proprietà diverse.
Tra il 1870 ed il 1880 l’intero patrimonio viticolo fu distrutto dalla filossera.
Gli impianti post fillossera hanno rispettato le delimitazioni storiche e anche questa è stata una scelta vincente.
Il disciplinare, la produzione e la delimitazione dei vigneti di Borgogna è stato istituito il 29 aprile 1930 e depositato presso il Tribunale di Dijon. L’istituzione che vigila sulla produzione è l’ I.N.A.O. (Institut National des Appellations d’Origine).
La Borgogna, è una delle regioni vitivinicole più importanti del mondo
Tra le sue caratteristiche principali vi è la frammentazione delle proprietà e delle denominazioni
I vitigni coltivati sono: Pinot nero; Chardonnay; Aligoté e Gamay.
Anche se la Borgogna che emoziona è solo Pinot nero per i rossi e solo Chardonnay per i bianchi.
Si divide in quattro regioni :
Côte de Nuits: nella regione di Nuits Saint Georges;
Côte de Beaune : nella regione di Beaune,
queste prime due regioni costituiscono la Côte-d’Or; dove si producono i vini più prestigiosi.
Côte Chalonnaise: nella regione di Chalon sur Saone;
Mâconnaise: nella regione di Mâcon.
Il vigneto borgognone dispone di una superficie produttiva di 27.636 ettari (3% del vigneto francese) :
Di cui il 61% sono vini bianchi, il 31% vini rossi o rosati e l’8% sono « crémants » che poi è la denominazione degli spumanti di Borgogna.
Le A.O.C. della Borgogna si dividono in:
23 aoc regionali : Bourgogne, Cotes de Nuits/Beaune Villages, Hautes Cotes de Beaune/Nuits (53% della produzione);
44 aoc comunali : Gevrey Chambertin, Meursault, Pommard… (35% della produzione);
635 premier cru (in 28 diversi comuni pari a circa il 10% della produzione) e
33 grand cru (in 13 diversi comuni e pari a poco più dell’1% della produzione).
Le dimensioni dei grand cru sono molto ridotte e variano tra i 50,77 ha del grand cru più esteso (Clos Vougeot che è “frammentato” in 80 proprietari) e 0,85 ha del meno esteso (La Romanée).
I “Monopole”
Clos des Ruchotte di Armand Rousseau
Clos de Tart di Mommessin
Romanée-Conti del Domaine de La Romanée Conti
La Grande Rue di Francois Lamarche
La Tâche del Domaine de La Romanée Conti
La Romanée di Château de Vosne-Romanée
Clos des Marechaudes di Albert Bichot
Ho conosciuto Sergio una ventina d’anni fa. E la prima bottiglia di Borgogna, La Tache 1989, la comprai proprio nella sua splendida enoteca di Sulmona. Ricordo che allora un La Tache costava circa un decimo del mio stipendio mensile. Non comprai Romanée-Conti 89, perchè mi pareva troppo spendere addirittura un quarto del mio salario. Oggi, dopo soli vent’anni, una bottiglia di La Tache di annata eccellente mi costerebbe quasi la metà del mio attuale stipendio, e R-C lasciamo perdere. Tutto questo non perché La Tache o R-C siano migliorati di qualità. ma perchè una pletora di arricchiti russi / cinesi ha pensato che fosse molto figo pagare qualunque cifra per accattarsi una boccia dei summenzionati nettari. A nome di tutti coloro che amano il vino, io protesto. Noi che potremmo goderne veramente, non ce li possiamo più permettere a causa di una banda di cafoni arricchiti. Rivoluzione !
Grande Fabio pensa ci conosciamo da almeno 20 anni e averti incontrato di nuovo in Toscana è stato un piacere molto grande. I decenni passano, ma beviamo ancora molto bene anche se oggi un La Tache è diventato un vero lusso!
eh ma prima o poi dobbiamo ristapparlo un La Tasca
fate poco i furbi: quando aprite LA TASCA, devo esserci pur io !!!!
😀
Molto simpatica la traduzione estemporanea di Fabio Zanzucchi, che più di traduzione è forse un soprannome confidenziale. L’interpretazione “ufficiale” che molti danno al termine La Tâche è “opera compiuta” a differenza di La Tache che senza circonflesso significa la macchia. Effettivamente anche in italiano è molto diffuso il termine “opera” quando si parla di vigneto e che io sappia, è un’unità di misura di superficie, variabile da zona a zona. Si riferisce al fatto che quella superficie è pari a quanto dovrebbe coltivare un bracciante in un giorno, o in alternativa una squadra di braccianti in un’unità di tempo. Per esempio a Sulmona (AQ) un’opera di vigna è pari a 1125 metri quadrati, cioè un ottavo di ettaro. La Tâche misura ben 6,06 ettari, che potrebbe essere il lavoro di 7 braccianti (un’ipotetica squadra) per una settimana, a svolgere un lavoro che richieda tempo come la sfemminellatura.
Il Clos des Lambrays non è un Monopole, una piccola parcella appartiene ancora al Domaine Taupenot-Merme…
Tecnicamente hai ragione, infatti viene considerato semi monopole, che poi non significa niente perché o sei monopolista o meno, nel senso che Taupenot-Merme ha poche are, un paio di filari, da cui peraltro produce un Clos des Lambrays abbastanza modesto qualitativamente, che costa caro in quanto raro. Sarebbe giusto rettificare.
Ruben ho rettificato, anche se per pochi metri quadrati è corretto togliere Clos des Lambrays dai monopole, grazie per la precisazione.
Anche mio marito (francese) ed amante della Borgogna, in tempi non sospetti, nello spiegarmi il terroir della Borgogna mi aveva sempre detto che i vitigni erano 4, come giustamente scrive te. L’esperienza lavorativa in un bar a vin nantese mi ha insegnato che i vitigni sono 5 (o 6), ovvero esiste anche il Sauvignon Blanc (et Gris!) nella piccolissima appelation AOC Saint-Bris, nel nord della Borgogna, vicino Chablis.
Hai perfettamente ragione, chissà perché poi viene dimenticato. Prima dell’ultima modifica al disciplinare avvenuta nel gennaio 2003 si chiamava Sauvignon de SAINT-BRIS. Forse viene dimenticato perché anche organoletticamente del tutto estraneo agli altri bianchi di Borgogna e poi forse perché quando si parla di bianchi di Borgogna la testa è sempre nella Côte de Beaune!