Quando e perché gli ibridi produttori diretti sono arrivati in Europa?
Spesso si sente dire che gli ibridi produttori siano arrivati in Europa per combattere la fillossera ed altre malattie della vite, ma questo è vero solo in parte.
In realtà è vero anche il contrario, cioè che la fillossera e altre malattie della vite sono arrivati in Europa con le viti americane, spesso ibridi tra diverse viti americane o ibridi tra viti americane e vitis vinifera.
Va premesso che in Italia in particolare le leggi hanno vietato la vendita di vino prodotto da specie diverse dalla Vitis vinifera fin dal 1931 e addirittura l’art. 22 del DPR 12 febbraio 1965 n° 162 proibiva la vinificazione di uve diverse dalla Vitis vinifera.
In questo la legislazione italiana è sempre stata la più severa del mondo.
La prima vite americana a giungere sul suolo europeo fu l’Isabella o Uva Fragola, che fece la sua comparsa in Francia intorno al 1820.
L’Isabella è un incrocio tra la vitis labrusca e la vitis vinifera.
Ormai è dato per certo che fu proprio questa varietà a portare la prima infezione di origine americana sul suolo europeo: l’oidio, correva l’anno 1845.
Nei decenni che seguirono, il Fragolino ed altri vitigni americani introdussero la fillossera in Francia nel 1863, che poi infettò praticamente tutti i vigneti d’Europa giungendo per la prima volta in Italia nel 1879, in Lombardia e il secondo focolaio partì dalla Sicilia nel 1880.
Poi sempre dalle viti americane nel 1878 fece la sua comparsa in Francia la peronospora.
Proprio per combattere queste minacce furono selezionati gli ibridi produttori diretti come il clinton, la cui importazione va probabilmente datata tra il 1860 e il 1870 (successivamente per l’Italia).
Cosa sono?
In un’altra occasione scriverò sulla domesticazione della vitis vinifera, che ha generato la vitis vinifera sativa, quella euroasiatica principale, che ha di fatto dato vita al vino.
In America esistono altre specie, tra le quali le più importanti sono: la vitis labrusca, la vitis riparia, la vitis rupestris, la vitis berlandieri e la vitis aestivalis.
La Fillossera della vite, Viteus vitifoliae, è dunque un afide proveniente dal Nord America, che si diffuse rapidamente in tutte le zone viticole dimostrandosi distruttiva per i pregiati vitigni europei. Durante il suo progressivo espandersi nella penisola italiana distrusse due milioni di ettari di vigneti. Le radici della vite europea, a differenza di quella americana, sono sensibili alle punture della Fillossera. I tessuti radicali subiscono una grave disorganizzazione, spesso aggravata da successivi insediamenti di microrganismi patogeni. La pianta deperisce notevolmente per poi morire. Il problema della Fillossera, gravissimo per la viticoltura europea, diede luogo sul finire dell’800 alla promulgazione di tutta una serie di misure contenitive e di lotta, dimostratesi totalmente inefficaci.
La soluzione arrivò mediante l’innesto della vite europea, produttrice di vini di qualità, su piede di vite americana o di suoi ibridi, resistenti agli attacchi della Fillossera: tale metodo è tuttora di generale applicazione.
Gli ibridi produttori diretti sono vitigni ottenuti per ibridazione tra viti di diverse specie.
I numerosi ibridi ottenuti dalla fine dell’Ottocento però non hanno dimostrato un’adeguata resistenza alla fillossera e pertanto la loro coltivazione aveva luogo solo previo innesto.
I vitigni così ottenuti hanno dato un prodotto di qualità nettamente inferiore rispetto a quello della Vitis vinifera, sia dal punto di vista organolettico, generando vini dal sapore “volpino”, che dal punto di vista della serbevolezza dei vini, sempre molto limitata.
Inoltre il contenuto di alcool metilico (metanolo) rispetto ai vini ottenuti dalla vitis vinifera, è circa il doppio.
In Italia la superficie coltivata con tali ibridi è molto limitata (non ha mai raggiunto l’1% e quasi interamente in Veneto e Friuli Venezia Giulia), anche grazie a leggi molto severe introdotte in netto anticipo rispetto agli altri paesi e a piccole deroghe che la legge del 1931 concedeva ad alcune province.
In Francia ha rappresentato anche il 20% e ancora oggi, la superficie coltivata a ibridi non è trascurabile.
Il bianco Baco copre 2.103 ettari; il bianco Villard 740 ha; il Villard nero 601 ha; il Couderc 305 ettari e 208 ettari il Plantet. . Sono anche autorizzati: il Chambourcin, il Garonnet, il Varousset nero, il Seyval, il Seinoir Nero, il Rubilande, il Ravat bianco, l’ Oberlin Nero, il Léon Millot , il Landal , il Florental, il Colobel dell’Alsazia a cui vanno aggiunti il Baco 22, il Baco Blanc, incroci tra il Folle Blanche e il Noah utilizzati esclusivamente per la produzione di Armagnac.
Per tutto il XX secolo il Baco blanc è stato il vitigno più coltivato in Armagnac, toccando l’85% nel 1970, quando solo in questa regione copriva oltre 10.700 ettari.
In Europa molti ibridi produttori diretti sono presenti in Ungheria, Romania, Azzorre, Madeira e Svizzera.
La legislazione attuale vieta la commercializzazione di mosti e vini derivanti da piante di vite diversi da Vitis vinifera.
Ovvero si può produrre in Europa una bevanda ottenuta dalla fermentazione di uve provenienti da viti diverse dalla vitis vinifera, ma non si può chiamare vino. In Italia non si può comunque commercializzare.
A parte il Fragolino di cui ho già parlato gli ibridi più coltivati al mondo sono:
Il Noah e il Clinton sono incroci tra vitis labrusca e vitis riparia.
Il Baco incrocio tra vitis riparia e vitis vinifera, un tempo noto in qualche regione italiana come uva francese.
L’Oberlin è un ibrido tra la Labrusca e la Vinifera
L’Elvira e il Taylor, (ibridi tra la Labrusca e la Riparia)
Lo York-Madeira (Labrusca x Aestivalis),
L’Othello (Labrusca x Riparia x Vinifera),
Lo Jacquez e l’Herbemont (Aestivalis x Berlandieri x Vinifera), questi ultimi sembrerebbero privi del sapore foxy.
Il Bordo (Vitis Labrusca)
Il Concord (Vitis Labrusca)
Niagara (vitis Labrusca)
Couderc noir (ibrido tra Vitis Vinifera, Vitis lincecumii e Vitis rupestris)
Jacquez (ibrido tra Vitis Vinifera e Vitis aestivalis )
Come ben sappiamo, tutti questi vini sono non sono commerciabili, perché sono “vini non vini”, la legge, infatti, vieta di chiamarli vini, perché solo il succo fermentato del frutto della Vitis vinifera può essere, per la legge, chiamato vino.
Vediamo, allora, perché hanno subito questa condanna.
Il dilagare di questi ibridi produttori diretti, troppo spesso considerati la soluzione al problema vinicolo al tempo della Fillossera, portarono a una sovrapproduzione di vini scadenti e alla percezione del pericolo che rappresentavano per la qualità del prodotto.
Fu allora che intervenne il legislatore con la legge 23 marzo 1931 n° 376 che vietava “la coltivazione dei vitigni ibridi produttori diretti” salvo che nelle province in cui gli organi ministeriali “ne riconoscano l’utilità” e con modalità da stabilirsi con decreto ministeriale. Tale legge non riguardava tuttavia l’uva fragola, considerata allora non un ibrido ma figlia unicamente della vitis labrusca, ma pochi anni dopo, con la legge 2 aprile 1936 n° 729 venne estesa la norma anche ad essa stabilendo che il divieto si applica “anche alla coltivazione del vitigno Isabella (vitis labrusca) sotto qualunque nome venga qualificata. Tale coltivazione è peraltro ammessa anche fuori dei limiti stabiliti, nei casi nei quali risulti accertato che è fatta solo allo scopo di produzione di uva destinata al consumo diretto”.
Va detto che fuori dall’Europa non è così e si producono tuttora vini da ibridi produttori diretti.
Basti pensare che l’Isabella (o Fragolino) è ancora oggi coltivata su 32.494 ettari occupando il 31° posto tra i vitigni più coltivati al mondo.
Il Concord con 12.238 ettari occupa il 58° posto, il Bordo è coltivato su 8.287 ettari ed è l’80° al mondo e così molti altri.
Dal momento che gli ibridi produttori diretti non hanno risolto il problema della resistenza alla fillossera, il lavoro di miglioramento genetico è stato rivolto principalmente verso la ricerca di numerose specie pure o ibridi, naturali o indotti, da utilizzare come portinnesti. I tantissimi portinnesti ottenuti in più di un secolo di ricerche sono riconducibili ai seguenti gruppi:
a) selezioni di linee pure;
b) ibridi semplici e complessi tra viti americane;
c) ibridi semplici e complessi tra vite europea e viti americane.
Di tutti questi portinnesti, per legge, in Italia ne possono essere coltivati solo una trentina.
Nella nomenclatura ufficiale dei portinnesti si ha la seguente sequenza:
– nome corrispondente alla specie portaseme;
– segni (x) o (-) indicanti rispettivamente l’incrocio artificiale o naturale;
– nome corrispondente alla specie impollinante;
– nome del costitutore;
– numero, a volte seguito da lettere, corrispondente alla parcella del campo sperimentale.
I principali portinnesti sono stati ottenuti incrociando tra di loro, o con vite europea, Vitis Berlandieri, Vitis riparia e Vitis rupestris.
Penso di avere fatto un po’ di chiarezza sull’argomento.
Salute, ma con un vino da vitis vinifera!