Mi è stato chiesto di parlare di vinificazione nell’antichità, molto è stato scritto sulle origini della vinificazione,  certamente iniziata con piccolissime quantità, sicuramente casuale all’inizio, ma è interessante parlare di vinificazione in quantità cospicua probabilmente addirittura industriale. Per questo è stato interessante leggere notizie relative alla cantina più antica del mondo, almeno fino a oggi.
Tracce certe sono state trovate in Persia, l’attuale Iran, databili con certezza 7000 anni fa.
L’esperto di vino nell’antichità Patrick E. McGovern, archeologo biomolecolare alla University of Pennsylvania Museum di Philadelphia, ha rilevato testimonianze archeologiche di vino (ma non di una cantina per la sua produzione) in Iran che risalgono a 7.000 anni fa.
Il Professor Patrick E. McGovern nelle sue ricerche ha messo un verdetto di sostanziale parità nella gara tra chi sostiene che la bevanda più antica del mondo sia il vino o la birra.
Infatti nelle sue ricerche ha trovato tracce di una bevanda che è un po’ vino e un po’ birra contemporaneamente, databile 9000 anni fa.
La sua ricerca  attraverso l’analisi  molecolare pubblicata su (Nature 402, 23 dicembre 1999: 863-64) conferma chimicamente che la prima bevanda fermentata, fino a oggi rinvenuta, da qualsiasi parte del mondo, risale al neolitico ed è riferita a molecole rinvenute in Cina, in vasi di ceramica per contenere una bevanda mista di uva, riso, miele e da frutti di  biancospino (Proceedings of National Academy of Sciences USA 101.51: 17593-98).

Antico recipiente Georgiano

Antico recipiente Georgiano


Gli assertori della maggiore antichità del vino continuano a sostenere che probabilmente ancora prima l’uomo si sia dissetato con succo di uva e che questo un bel giorno sia andato incontro a naturale fermentazione, producendo involontariamente il primo vino.
Più difficile è sostenere che un giorno, prima che l’uomo avesse iniziato a dissetarsi con succo d’uva, un uomo primitivo, avendo preparato l’impasto per il pane ed avendolo dimenticato all’aperto, in un recipiente, dopo una pioggia abbia bevuto quell’acqua che nel frattempo era fermentata e aveva trovato buona la bevanda stessa.
Le ricerche del professor McGovern comunque si fanno più interessanti quando viene a conoscenza della scoperta di archeologi americani e armeni, della più antica cantina del mondo, in Armenia, nella stessa grotta in cui fu rinvenuta la più antica scarpa del mondo, una cantina dove si produceva vino oltre 6.000 anni fa.
foto di Gregory Areshian

foto di Gregory Areshian


Nella foto di Gregory Areshian un torchio per il vino (davanti al cartello) e un recipiente per la fermentazione (a destra) scoperti durante gli scavi in Armenia, vicino al villaggio di Areni.
Questa è la più antica cantina vinicola finora conosciuta: lo rivela una ricerca finanziata anche dalla National Geographic Society, dove oltre agli strumenti citati, sono stati ritrovati vari recipienti vinari, coppe e resti di raspi, vinaccioli e bucce.
La produzione vinicola, che si svolgeva in prossimità di un sito funerario, circostanza poi riscontrata anche in altri ritrovamenti, probabilmente veniva effettuata a piedi nudi.
“Si tratta della più antica e affidabile testimonianza di produzione vinicola”, afferma l’archeologo Gregory Areshian della University of California di Los Angeles (UCLA). “Per la prima volta, disponiamo di un quadro archeologico completo, risalente a 6.100 anni fa, di questo tipo di attività”.
La presenza di queste strutture è stata individuata per la prima volta nel 2007, quando iniziarono gli scavi co-diretti da Areshian e dall’archeologo armeno Boris Gasparyan della National Academy of Sciences of Armenia di Yerevan al complesso di grotte Areni-1.
Nel settembre 2010 gli archeologi hanno completato lo scavo di una vasca (un tino), profonda una sessantina di centimetri, sepolta accanto a un recipiente di argilla, lungo circa un metro, dai bordi alti: manufatti che indicherebbero che gli antichi vinificatori dell’Età del Rame avrebbero schiacciato l’uva in modo tradizionale, ossia con i piedi, afferma Areshian. Dal recipiente d’argilla il succo d’uva sarebbe poi defluito nel tino, e lì sarebbe stato lasciato a fermentare, spiega l’archeologo.
Secondo la ricerca pubblicata sulla rivista Journal of Archaeological Science, il vino sarebbe poi stato custodito in giare e conservato nella grotta, ambiente ideale, fresco e asciutto.
l'esterno della cantina a Areni

l’esterno della cantina a Areni


Tracce di vino
Per verificare che la vasca e le anfore custodissero effettivamente del vino, gli archeologi hanno sottoposto ad analisi chimiche dei frammenti di ceramica (che il radiocarbonio ha datato fra il 4100 e il 4000 a.C.) in cerca di residui.
Le analisi hanno rivelato tracce di malvidina, un pigmento vegetale appartenente alla famiglia dei flavonoidi a cui si deve in gran parte il colore rosso del vino. “La malvidina è il miglior indicatore chimico a noi noto della presenza di vino”, dice Areshian.
Vino e DNA
McGovern definisce la scoperta “particolarmente significativa perché suggerisce l’esistenza di una produzione vinicola su larga scala, che a sua volta implica il fatto che la vite fosse già stata domesticata”. Questo perché la vite domestica (Vitis vinifera sativa) produce un maggior numero di grappoli rispetto a quella selvatica (Vitis vinifera silvestris) e quindi sono necessarie strutture più ampie per la loro lavorazione.
La scoperta di quella che sembra una produzione vinicola con uso di vite domestica nell’attuale Armenia, spiega McGovern, sembra coincidere con gli studi genetici condotti in precedenza sulle varietà di uva coltivata, che indicavano proprio le montagne dell’Armenia, della Georgia e dei Paesi limitrofi come la culla della viticultura.
Secondo McGovern, l’uva di Areni avrebbe avuto un gusto simile a quello delle antiche varietà georgiane indicate come “antenate” del Pinot Nero.
Antichi rituali
Mentre l’identità degli antichi produttori di vino resta un mistero, sembra probabile che la loro cultura comprendesse rituali in cui si beveva per onorare i defunti, afferma Areshian.
“Attorno alle strutture per la produzione di vino sono state rinvenute una ventina di sepolture. C’era un cimitero, e la produzione di vino nella grotta era legato a questo aspetto rituale”, ipotizza lo studioso della UCLA. Non a caso attorno e all’interno delle sepolture sono state rinvenute coppe per bere.
McGovern conferma che esempi più tardi di riti funerari legati all’alcol sono stati rinvenuti in tutto il mondo. Nell’antico Egitto, ad esempio, “vi sono dipinti all’interno delle tombe che mostrano anfore piene di birra e di vino provenienti dal Delta del Nilo che vengono offerte ai defunti”.
I prossimi scavi ad Areni saranno rivolti all’individuazione di ulteriori legami fra le sepolture e la produzione vinicola, dice Areshian.
Oggi, ai piedi del monte Ararat, famoso perché Bibbia narra che proprio su quel monte si incagliò l’Arca di Noè, nel villaggio di Areni, che prende il nome proprio dal vitigno a bacca rossa della zona, sono in corso studi e ricerche condotti da un’ “equipe” italiana.
Si tratta di un progetto della Zorah Wine’s, condotto dall’agronomo Stefano Bartolomei e l’enologo Alberto Antonini, che mira a riscoprire gli antichi vitigni del luogo.
Nella valle del Yeghegnadzor, nel villaggio di Rind, vicino a dove è stata scoperta l’antichissima cantina, gli studiosi si sono concentrati sull’Areni.
Incredibilmente in questi luoghi non ha ancora mai fatto la sua comparsa la fillossera, dunque siamo su piede franco, ed è molto probabile che il vitigno sia proprio quello di qualche millennio fa, anche perché la zona non ha mai importato vitigni alloctoni.
Siamo a 1300 metri di altitudine e l’Areni è un vitigno a bacca rossa, molto resistente, dalla buccia molto spessa.
un grappolo di Areni

un grappolo di Areni


Venendo a un’epoca molto più recente è sempre il Prof. McGovern ad avere fatto gli studi più interessanti sull’arrivo del vino in Francia.
Infatti McGovern sostiene che i francesi hanno imparato a fare il vino dagli italiani oltre 2400 anni fa.
Grazie all’archeologia molecolare, i ricercatori possono ora confermare che i francesi raccolsero queste abilità già nel 425 a.C.
Allora, chi ha insegnato ai francesi l’arte della viticoltura e della vinificazione?
Probabilmente gli antichi italiani, dice l’uomo forse con il soprannome più cool nel campo della ricerca scientifica, l’ “Indiana Jones dell’ alcol”, Patrick McGovern .
L’uva eurasiatica – Vitis vinifera, la fonte del 99 per cento del vino del mondo , è stata addomesticata circa 9.000 anni fa, tra le montagne del Vicino Oriente, dice McGovern.
Più tardi, Cananei, Fenici e mercanti greci furono gli artefici della diffusione della cultura del vino attraverso il Mediterraneo.
Fotografia di Michel Py,

Fotografia di Michel Py,


Analisi chimiche hanno confermato che questo antico torchio, che si trova nel sud della Francia, è stato utilizzato per rilasciare il nettare di Bacco già nel 425 a.C.
Intorno all’VIII secolo a.C.
“L’industria degli Etruschi ha cominciato a decollare”, spiega McGovern.
Infatti nel breve scorrere di 2 secoli “fecero ciò che prima fecero i Fenici”: cioè si dedicarono alla costruzione di navi e per esportare il loro vino verso i paesi settentrionali affacciati sul mediterraneo e in particolare della Francia.
Per capire quando la coltura del vino in Francia ebbe inizio, McGovern ed i suoi colleghi hanno analizzato i residui organici che si erano infiltrati nei vasi recuperati dall’antica città francese portuale di Lattara (ora conosciuta come Lattes).
I vasi erano decisamente di stile Etrusco, come i ricercatori hanno scritto nella ricerca pubblicata negli Atti dell’Accademia Nazionale delle Scienze, i loro test hanno confermato che i vasi contenevano vino nel periodo tra il 500 e il 475 a.C.
Sembra che alle popolazioni della Francia meridionale il vino etrusco piacque molto, forse anche per le sue proprietà piacevolmente inebrianti e ben presto decisero di impiantare anche essi i primi vigneti.
In tempi decisamente brevi, a quanto pare meno di un secolo, le prime di viti sono state trapiantate, producendo di fatto il più antico vino francese, molto probabilmente “sotto la tutela degli Etruschi” in un primo momento, asseriscono McGovern e i suoi colleghi.
I ricercatori hanno trovato biomarcatori per le uve nel calcare di una piattaforma di pressione a Lattara, l’attuale Lattes, nei pressi di Montpellier databile 425 a.C.

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